Archivi Aperti

Viviamo in un’epoca in cui i rituali collettivi e le commemorazioni dei tragici eventi della storia vengono preferiti all’analisi e alla riflessione, alimentando così una “religione civile” che ci rassicura e ci consola, nell’illusione di opporre il presente al passato, la vita alla morte, il bene redentore alla barbarie. Una religione alimentata anche da interventi legiferativi non sempre provvidenziali. Da alcuni anni, infatti, in molti paesi europei si assiste a un moltiplicarsi di leggi sulla memoria che impongono come dovere istituzionale la commemorazione di fatti della storia nazionale cui lo stato attribuisce riconoscimento giuridico di memoria ufficiale o legittima. Oltre ad aver istituito il Giorno della Memoria (legge 211/2000), l’Italia ha approvato la legge per il Giorno del Ricordo (92/2004) e la legge per ricordare le vittime del terrorismo e delle stragi (56/2007). In Spagna, le associazioni dei familiari delle vittime del franchismo hanno chiesto di dichiarare il 2006 anno della “memoria repubblicana”, mentre l’Asociación por la Recuperación de la Memoria Histórica (ARMH) ha sollecitato una legge per istituire una “giornata della memoria” per la condanna del franchismo. Al rifiuto da parte del presidente Zapatero di riconoscere con una legge le vittime del franchismo, sono seguite vivaci polemiche e un dibattito politico incandescente.
Ancora un esempio: il 2 ottobre 2006, il presidente ucraino Viktor Yuščenko ha fatto approvare una legge che sanziona severamente chi neghi la definizione di olocausto alla terribile carestia del 1932-33 – nota come Holodomor, ovvero, letteralmente, “morte per fame” – attribuita a Stalin. Con buona pace di storici e ricercatori che, al pari degli altri, sono tenuti a rispettare la versione ufficiale dell’evento.
Rimane esemplare il caso francese, dove il problema del rapporto tra libertà di ricerca storica e uso pubblico che la politica può fare della storia è quanto mai sentito e dibattuto, anche a seguito delle cosiddette lois mémorielles. Si va infatti dall’approvazione della legge Gayssot del 1990, che punisce la negazione dei crimini giudicati dal tribunale di Norimberga, alla legge del 2001 che riconosce il genocidio degli armeni (ripresa nel 2006 con l’inserimento di norme che ne puniscono la negazione), per giungere alla legge Taubira del 2001, che riconosce la tratta dei neri come un crimine contro l’umanità, e alla legge Mekachera del 2005, sul colonialismo francese. Sotto il nome di Liberté pour l’histoire, che è già un programma esplicito, il movimento di protesta nato per difendere il lavoro dello storico dall’ingerenza statale ha raccolto migliaia di firme, anche al di fuori dei confini nazionali (1). Nella petizione del 12 dicembre 2005, sottoscritta da diciannove storici francesi, tra cui Pierre Nora, Marc Ferro e Antoine Prost, si legge che “l’histoire n’est pas la morale. L’historien n’a pas pour rôle d’exalter ou de condamner, il explique. […] L’histoire n’est pas la mémoire. L’historien, dans une démarche scientifique, recueille les souvenirs des hommes, les compare entre eux, les confronte aux documents, aux objets, aux traces, et établit les faits. L’histoire tient compte de la mémoire, elle ne s’y réduit pas” (2).Non si tratta tanto di rievocare uno scenario sempre più conflittuale tra storia e memoria, di cui si è già ampiamente dibattuto, quanto di chiedersi se una storia piegata sui diritti dell’uomo e sull’educazione morale – come pare accadere troppo frequentemente per i grandi crimini e le violenze di massa del Novecento – non sia indice di insofferenza e incapacità di elaborazione da parte delle società contemporanee.
Insegnamento della Shoah e retoriche della commemorazione
Se da un lato si vorrebbe stendere un velo su un passato ingombrante e osceno – tanto è forte il male commesso e, di conseguenza, la vergogna e il senso di colpa per non averlo contrastato – dall’altro si è perso il senso dello studio della storia e dell’importanza irrinunciabile del suo essere insegnata alle giovani generazioni. Sempre più alligna invece la convinzione che vi siano altre discipline, altri metodi, altri strumenti più efficaci per far capire cosa è accaduto. Basti vedere quanti insegnanti, una volta deciso di affrontare in classe il tema della Shoah, prediligano approcci alternativi alla tradizionale lezione di storia, come il teatro, il cinema, la scrittura creativa, l’arte; tutti metodi certamente utili ed efficaci per coinvolgere gli studenti in un lavoro di rielaborazione, ma che dovrebbero costituire una tappa all’interno di un percorso di conoscenza più solido e strutturato sia cronologicamente che concettualmente.
1. Per un approfondimento sulla legislazione nei vari paesi, in relazione alla memoria politica da commemorare, cfr. Costantini 2008 e Fontana 2009.
2. «La storia non è la morale. Lo storico non ha il compito di esaltare o di condannare, ma di spiegare. […] La storia non è la memoria. Lo storico, seguendo un approccio scientifico, raccoglie i ricordi degli uomini, li sottopone a comparazione, li confronta ai documenti, agli oggetti, alle tracce e stabilisce quindi i fatti. La storia tiene conto della memoria ma non si riduce a essa». Cfr. il sito Liberté pour l’histoire (http://www.lph-asso.fr/index.php?option=com_content&view=article&id=2&Itemid=13&lang=fr).