Archivi Aperti

È notte e siamo sugli spalti del castello di Elsinore. Il fantasma prima ha raccontato come veramente si sono svolti i fatti (il fratello lo ha ammazzato usurpando il trono e la moglie lo ha tradito), poi si è congedato dal figlio con queste parole: “Adieu, adieu, adieu. Remember me”. E il figlio giura di non dimenticare. Ecco il testo nella traduzione di Montale. “Ricordarti? Oh sì, povero spirito | finché esisterà la memoria in questo globo demente! | Ricordarti? Ma io cancellerò | dalla tavola della mia mente i ricordi sciocchi e triti, | le parole dei libri, tutte le forme, tutte le impressioni, | tutto ciò che vi fu scritto dalla giovinezza | e dall’esperienza; e il tuo comando | solo vivrà nel libro del mio cervello, | sgombro d’ogni altro intento! Sì, per il Cielo! | Oh sciagurata donna! | Oh furfante, maledetto furfante che sorridi! | Il mio taccuino – Sì devo scriverlo | che uno può sorridere, sorridere, ed essere una canaglia! | Son certo almeno che si può essere così | in Danimarca. – Eccoti servito, zio. | Ed ora la mia parola è ‘Addio, ricordami’. | L’ho giurato” (I, v, 93-113). Quali sono le caratteristiche di questo giuramento?
Prima di tutto è una parola detta. Se Amleto si fosse semplicemente limitato a pensare di giurare non avrebbe giurato, non più di quanto ci si sposi effettivamente quando si pensa semplicemente di sposarsi. Il fatto di essere detta è essenziale a questa parola, e permette (come ha insegnato Austin) di fare cose con le parole, ossia di costruire degli oggetti sociali. Dicendo “I swear”, “io giuro”, Amleto sta costruendo un oggetto sociale, una promessa, il che non avverrebbe se dicesse “è notte” o “siamo in Danimarca” (starebbe semplicemente constatando qualcosa, e potrebbe limitarsi a pensarla, il contenuto non cambierebbe) o se chiedesse allo spirito un bicchier d’acqua, o gli ingiungesse di andarsene.
In secondo luogo, ma è la cosa più importante, è una parola data, a un altro. Amleto giura a un altro, questi atti richiedono almeno un alter ego, anche se nella fattispecie l’alter ego è un fantasma che si chiama proprio come lui, Amleto. Parole donnée è il titolo del libro dell’arabista francese Louis Massignon, uscito nell’anno della sua morte, il 1962, in cui mi sono imbattuto per caso mentre stavo preparando questo piccolo articolo, e mi è parso che condensasse il succo di tutto quello che volevo dire. Che cosa si dà quando si dà la propria parola? Emerge un meccanismo lievemente paradossale: dò la mia parola, ma questa parola vale solo nella misura in cui non è più mia, nel senso che l’ho data a qualcun altro, ed è divenuta indipendente dalla mia volontà, poiché non posso riprendermela (rimangiarmela, si dice, sottolineando a giusto titolo che è diventata un oggetto esterno) a meno di rivelarmi quantomeno un bugiardo.
Questa consistenza e autonomia della parola data poggia su una terza circostanza: la parola data è una parola iscritta, e con questo intendo che è registrata tanto all’interno, nella memoria, quanto all’esterno, sulla carta. Proprio l’iscrizione, rendendola stabile e pubblica, ne fa qualcosa di diverso da un fatto puramente psicologico, da un desiderio o da un atto di volontà che possono cambiare, e trasforma l’atto in un oggetto, ne fa una parola data. Per questo la memoria è così importante nella vita, e per questo il mondo è pieno di archivi. Amleto, infatti, quando promette al padre dice che iscriverà la parola, il giuramento, sulla tavola della sua memoria (dice proprio così, table of my memory, paragonando la mente a una tabula rasa, a una tavoletta scrittoria, a un bloc notes), sul volume e sul libro del suo cervello, prosegue. Ma, visto che non si sa mai, annota anche, se lo segna sul taccuino (my tables), sulla memoria esterna, sulla carta. Il giuramento esiste solo perché è segnato sulla tavola interna e sulla tavola esterna, e alla fine l’essenza del giuramento consiste nel non dimenticare: “Ed ora la mia parola è ‘Addio, ricordami’. | L’ho giurato” (“Now, to my word: | It is ‘Adieu, adieu. Remember me’ | I have sworn’t”).
In quarto luogo, la parola data è una parola leale. Tutta la scena non avrebbe alcun senso se Amleto semplicemente avesse finto di giurare, se contasse di non mantenere la promessa. E non è una storia di anime belle, è molto concreta, perché quando il sospetto di inaffidabilità delle promesse si diffonde nel mondo sociale si hanno, per esempio, le crisi economiche. Come ha scritto all’inizio del secolo scorso uno dei massimi teorici degli oggetti sociali, Adolf Reinach, “La promessa è in quanto tale irrevocabile.” Il che significa che se qualcuno sta facendo una promessa con l’intenzione di non mantenerla non sta promettendo, ma sta dicendo parole al vento. Con la parola data si tratta invece di fare la verità. Prendo questa espressione dalle Confessioni di Agostino, in un passo valorizzato da Derrida, che si sofferma sulla domanda paradossale che Agostino si pone ormai molto avanti nel libro: perché mi confesso a Dio, che sa tutto? E la risposta è che si tratta di fare la verità, non solo nel cuore, ma anche per iscritto e di fronte a molti testimoni. Amleto, che dopotutto non è affatto amletico, chiede continuamente dei giuramenti, “Swear by my sword”, “giurate sulla mia spada”, e spera di far giustizia facendo verità. “Il mondo è fuor di squadra: che maledetta noia, | esser nato per rimetterlo in sesto!” (I, v, 188-189). “Il mondo è fuor di squadra”, dissestato, “The time is out of joint”, è il verso su cui si è concentrato ancora Derrida in Spettri di Marx, facendo notare che una delle traduzioni francesi, quella di Gide, rendeva l’espressione con “la nostra epoca è disonorata”.