Archivi Aperti

Per la sua peculiare complessità e il suo carattere di radicale novità, il tema della testimonianza della Shoah ha sollecitato una notevole letteratura. L’enigma dell’orrore dello stermino degli ebrei nei campi nazisti si presta a essere analizzato e indagato sotto i più svariati profili – psicologico, etico, politico, sociale, filosofico. Qualsiasi tentativo di rendere conto dell’intera compagine di ricerca attorno a questo tema non potrebbe che fallire l’obiettivo, tante sono le sfaccettature e tanti gli aspetti che l’indagine su di esso, inevitabilmente, assume. Qui, allora, non si cercherà di presentare una sorta di sintesi delle riflessioni sulla questione dell’Olocausto e sul problema della sua testimonianza, ma si tenterà, piuttosto, una meta-analisi volta a comprendere l’origine della complessità e dell’inaggirabile ambiguità di qualsiasi ricerca su questo argomento. Si proverà, cioè, a porsi al di qua di una, per così dire, fenomenologia della Shoah e della testimonianza che di essa è (o non è) possibile dare, provando a cogliere quest’ultima nel luogo e nella possibilità della sua stessa origine. Si tratta in altri termini di comprendere in quale misura la testimonianza dei fatti legati alla persecuzione nazista degli ebrei avanzi la pretesa alla propria affermazione e, al contempo, rimanga segnata dall’ipoteca di una impossibilità, tentando di mostrare in che misura questa difficoltà sia superabile. Si analizzerà dapprima il legame della testimonianza con la memoria. Questo passo implicherà il tentativo di comprendere la differenza tra la ricostruzione storica e una memoria condivisa che sappia riconsegnare al presente il significato autentico di ciò che è stato. Quindi si mostrerà in che misura la testimonianza del passato sia sempre esposta al rischio del fallimento, poiché in bilico tra la possibilità di riconsegnare all’attualità la voce delle vittime degli orrori accaduti e il pericolo di ridurre la memoria di esse, da un lato, a dato storico acquisito e pacificamente archiviato, dall’altro a oggetto di spettacolarizzazione mediatica. Infine si mostrerà il carattere escatologico della testimonianza, ovvero la sua capacità di riscattare, oggi, gli sconfitti del passato. Per procedere a ricostruire il nesso che lega testimonianza, memoria e storia, non si potrà fare a meno di ricorrere alle riflessioni che a questo triplice legame dedica Walter Benjamin, ebreo tedesco vissuto durante il nazismo; tuttavia, non avendo egli vissuto l’esperienza di Auschwitz né quella del dover dar voce a tale orrore, la terza fase del percorso proposto non può limitarsi all’“escatologia” benjaminiana. L’aspetto escatologico, piuttosto, per sua stessa natura, rivelerà al contempo l’ineludibilità della testimonianza e la sua apparente impossibilità, ambiguità che molti sopravvissuti riconoscono di dover affrontare: un paradosso che, più che essere sciolto, andrà portato alle sue estreme conseguenze. Per fare ciò si proporrà la nozione di “testimonianza negativa”, che fin da ora è possibile definire come tale da non ricorrere né ai metodi della storiografia ufficiale né a quelli di una spettacolarizzazione spesso di cattivo gusto, ma capace di agire ponendosi “al margine” di essi, ritagliandosi nel presente e permettendo al passato di irrompere in esso. Questa forma di testimonianza verrà ricostruita attraverso due esempi concreti, tratti uno dal mondo delle immagini e l’altro da quello della scrittura: le fotografie scattate dal Sonderkommando analizzate da Didi-Huberman in Immagini malgrado tutto (2003) e il Diario di Etty Hillesum, giovane ebrea olandese morta ad Auschwitz, meno famosa della più celebre Anna Frank, ma la cui esperienza diviene forse proprio per questo particolarmente eloquente.
Giorgio Agamben ha ricostruito in un testo breve ma molto denso1 la questione della testimonianza in relazione all’esperienza della persecuzione nazista degli ebrei, fornendo in quel contesto un’attenta analisi del termine “testimone” a partire dalla sua etimologia latina, in base alla quale il suo significato sarebbe duplice: egli è testis, ovvero colui che si pone come terzo in una contesa tra due, ma anche superstes, ovvero colui che vive qualcosa fino alla fine, ed è quindi in grado di comunicarla ad altri. Agamben si concentra su questa seconda accezione, sollevando la paradossalità intrinseca alla testimonianza della Shoah, che dovrebbe render conto dell’annientamento di milioni di persone, ma che può essere resa solo da coloro che a questo annientamento sono scampati. Una radicale impossibilità, in cui il testimone, più che porsi come terzo tra due contendenti, pare scisso tra le due polarità dell’aver sperimentato quanto basta da poter raccontare lo sterminio, ma non abbastanza per poter testimoniare il contrassegno di morte di tale evento. In questo senso, il testimone incarna innanzi tutto un disagio, un’impossibilità di collocarsi, di assumere un ruolo, una divisione interna: egli è vittima e superstite, sopravvissuto ma non salvato (come nel caso di Primo Levi e dei numerosi altri che, pur scampati alle camere a gas, si diedero una morte comunque violenta). Questo non può che sollevare la domanda sulla plausibilità di una testimonianza della Shoah che sia veramente tale, e in questo senso procedono le argomentazioni di Agamben. Qui, tuttavia, tale aspetto sarà posto in secondo piano rispetto alla questione sollevata dalla prima accezione etimologica del termine, quella di testis, terzo in un processo tra due; un significato che lega la questione della testimonianza alla costruzione della memoria o, meglio, di una memoria condivisa. Perché se il testimone (e in particolare il testimone dell’Olocausto) incarna nella sua persona il paradosso di una scissione mai ricomposta, e quindi di un’ineludibile impossibilità di testimoniare, il rapporto che lega la testimonianza alla memoria mette in luce un’ulteriore ambiguità, iscritta nel concetto di ciò che si potrebbe chiamare “memoria storica condivisa”. La quale non è la raccolta storiografica di informazioni su fatti del passato, ma l’accadere di essi all’interno della collettività presente che li ricorda, cosa che proprio la testimonianza può rendere possibile.
- Cfr. Agamben 1998.