Simona De Simoni, “Sulle tracce della memoria. Il memoriale della shoah di Berlino”

Archivi Aperti

La memoria pubblica della Shoah, tassello fondamentale per la formazione di un’identità condivisa europea, assume un profilo sempre più incerto: instabile dal punto di vista epistemologico, ambiguo sul versante politico. Il ricordo, infatti, deve fare i conti tanto con il mutare delle condizioni materiali di fissazione e trasmissione, quanto con un’esibizione pubblica eccessivamente ritualizzata che tende a smorzarne il contenuto reale. Appare dunque necessario individuare strategie efficaci per sbloccare una pratica mnestica satura e abusata e garantire, al contempo, il passaggio dalla “memoria viva” alla “memoria culturale” [1].

La posta in gioco riguarda, per così dire, l’immaginario mnestico di generazioni che non hanno vissuto l’evento in prima persona e che, pertanto, ne possiedono un ricordo interamente mediato. Per questo motivo, una considerazione sulla disponibilità massiccia di documenti, immagini, filmati, o più in generale mediatori di diversa natura, risulta determinante per formulare una teoria contemporanea della memoria e rende innanzitutto necessario riconoscere il valore irrinunciabile di un affidamento beyond-mind della memoria. Quest’ultima infatti – come sostiene Paul Ricœur – si articola intorno a polarità differenti, tra cui quella di riflessività e mondità. Ciò significa che il ricordo non è mai un atto puro di coscienza, interiore e individuale, come lungamente ha affermato una tradizione filosofica “dello sguardo interiore”, ma che, al contrario, presuppone «l’orizzonte del mondo o di un mondo»2. Le possibilità commemorative del soggetto sono dunque mediate linguisticamente e inscritte nel corpo, negli oggetti, nello spazio. Questa dimensione extramentale diviene decisamente preponderante nel passaggio alla post-memoria3, fondata sul traffico sociale e collettivo di memorie “di seconda mano”. Le generazioni a venire non possono infatti ricordare la Shoah a prescindere dal ricorso a supporti memoriali extramentali: immagini, scritti, racconti, suoni, installazioni ibride o semplicemente byte [4]

Un simile incremento protesico muta profondamente la facoltà mnestica soggettiva. Come evidenziato da Jacques Derrida, infatti, il presente è scosso da un “sisma archiviale” di proporzioni sconosciute [5]. L’enorme sviluppo delle tecniche di supporto dei ricordi, e la maggiore accessibilità per il pubblico, producono una sorta di chirurgia memoriale diffusa, praticata attraverso tecnologie informatiche avanzate, ma anche media tradizionali come la scrittura e le immagini. I corpi stessi sono oggetto di sperimentazioni cyborg che tendono, per così dire, a sovrascrivere artificialmente il codice genetico. All’identità personale, fortemente intrecciata alla memoria, si sostituisce via via il “profilo”, rigorosamente a misura di social network. Ciò impone il ripensamento – fuori da canoni moralistici – del rapporto tra artificialità, realtà e verità. Il significato che l’autenticità ha rivestito nel corso della modernità per la definizione di soggettività appare decisamente superato, pur non implicando il venir meno del valore di verità dei ricordi.

Il terremoto archiviale, tuttavia, colpisce ben oltre la sfera individuale. La trasmissione delle discipline e dei saperi ne è coinvolta, al pari delle memorie collettive, in primis quella della Shoah, vertice della tendenza ipermnestica del presente. Le “protesi archiviali”, infatti, proliferano nella memoria culturale dell’Olocausto e, dato il loro impatto decisivo, è necessario interrogarne lo statuto epistemico e politico. Derrida tratteggia la cornice del problema con efficacia [6].

L’archivio, come stampa, scrittura, protesi o tecnica ipomnestica in generale, non è solo il luogo di stoccaggio e di conservazione di un contenuto archiviabile passato che esisterebbe a ogni modo, così come, senza archivio, si crede ancora che fu o che sarà stato. No, la struttura tecnica dell’archivio archiviante determina anche la struttura del contenuto archiviabile nel suo stesso sorgere e nel suo rapporto con l’avvenire.

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1. Assman 1999.

2  Ricœur 2000: 61-66.

3  Hirsch 1997.

4. La questione del “mediatore” della memoria è analizzata ampiamente in Assman 1999: 165-377.

5. Derrida 1995. Si noti l’analogia con le scelte semantiche adottate da Ricœur nella sua analisi della “memoria archiviata”. Egli, infatti, ricorre a formule quali “frenesia documentaria” e “marea archiviale” (Ricœur 2000: 207-257).

6Derrida 1995: 28.

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