Riportiamo per esteso le risposte di Maurizio Ferraris e di Elena Casetta alle domande di Adriana Riccomagno per l’articolo “Con i libri dei filosofi l’isolamento è un paradiso” uscito su La Stampa di sabato 4 aprile
Maurizio Ferraris
- Tra le numerose ricette che vengono proposte per affrontare meglio questo periodo, come si può collocare la filosofia?
Tra i rimedi che non presentano seri effetti collaterali, e che soprattutto possono trarre giovamento dalla enorme quantità di tempo che ci viene regalato alla quarantena. Me ne accorgo io, che pure studio e insegno filosofia da quasi mezzo secolo. Mi sembra di ritornare a quando avevo vent’anni e preparavo gli esami (che allora consistevano essenzialmente nella lettura di montagne di libri, cosa che continuo a reputare ottima) e scrivevo la tesi. Ma è importante, oggi come in ogni tempo, sapere che bisogna imparare a morire, abituarsi all’idea, anche se, e con la stessa forza, dobbiamo capire che alla morte non ci si rassegna mai. Dunque bisogna, per così dire, cercare di imparare a morire, sognare di imparare a morire. Lo ha detto un grande filosofo che è stato per me un maestro e un amico, Jacques Derrida, in una intervista su Le Monde rilasciata un mese prima di morire di cancro al pancreas.
- Quali filosofi possono esserci più di conforto in queste settimane? Qualcuno ha vissuto l’esperienza concreta dell’epidemia? E l’isolamento?
Fichte è morto in un’epidemia di colera, dunque è più che altro un modello poco confortante. E poi c’è quel filosofastro di Don Ferrante nei Promessi sposi che nega, su basi logiche, l’esistenza del contagio, e come è giusto che sia, se ne va maledicendo le stelle come un eroe di Metastasio (oggi ci sono invece altri filosofastri che sostengono che il virus è un Komplotto: siamo lì).
Quanto all’isolamento, è un’altra cosa. I filosofi sono spesso vissuti in isolamento, per scelta, come Cartesio; per una terribile maledizione sociale, come Spinoza; per incapacità a vivere in compagnia, come Nietzsche. E l’isolamento, se ben nutrito di libri (questi giorni di quarantena sono una manna, se facciamo in modo di non sprecarli e soprattutto, il che non è ovvio, se siamo nelle condizioni economiche e abitative per farlo) è probabilmente la condizione più simile al Paradiso, con il vantaggio, incalcolabile, di non essere eterno. La quarantena finirà, o finiremo noi.
- In particolare negli ultimi anni si è assistito a un “ritorno” della filosofia dei greci e dei latini in un’ottica di sostegno alla vita quotidiana: quali correnti e quali esponenti ci possono essere d’aiuto? Possiamo selezionare alcune citazioni particolarmente significative?
Basta digitare “citazioni filosofiche sulla vita” e se ne trovano quante se ne vogliono. Ciò premesso, personalmente non trovo i filosofi greci più saggi o più utili (e ovviamente non meno saggi e non meno utili) dei filosofi di qualunque altra epoca. Un ponte fra l’antico e il moderno ci è dato dal “vivi nascostamente” di Epicuro che Cartesio elesse a propria norma di vita. E non può mancare il passo di Pascal che sembra scritto proprio per i giorni che stiamo vivendo: “Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua incapacità di starsene nella sua stanza da solo.”
- La patologia emergente sembra aver aumentato la distanza tra le generazioni: a un certo punto si è diffusa quasi una sorta di narrazione del “tanto muoiono anziani e malati”. Come la filosofia può far riflettere giovani e vecchi? Si possono trovare consigli specifici per categorie, ad esempio i più giovani, gli anziani, i medici impegnati in prima linea contro il virus?
Che un filosofo pretenda di insegnare qualcosa a un medico, nel momento in cui il filosofo sta tranquillamente nelle retrovie e il medico è in prima linea, con tutto quello che ciò comporta, mi sembra fuori luogo. In questioni di vita e di morte, e di giovani e vecchi, mi sento di parlare solo per me: ho 64 anni, ho avuto una vita felice e piena di soddisfazioni, ce l’ho ancora e spero che duri il più possibile perché, come diceva Nabokov, partire è un po’ morire ma morire è partire un po’ troppo. Però se al triage dovessero scegliere fra me e un trentenne troverei questa scelta naturale e giusta. Quanto poi alla necessità di ristabilire un nesso tra le generazioni, è appena uscito da Carocci un libro bello e importante del direttore del LabOnt, Tiziana Andina, Transgenerazionalità. Una filosofia per le generazioni future. Lì si troveranno riflessioni e proposte importanti.
- Di quali libri consiglierebbe la lettura al tempo del coronavirus e perché?
Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, lo sto rileggendo proprio in questi giorni, è scritto magnificamente e getta in un modo non banale un ponte tra la filosofia come sapere, come saggezza della vita e come speranza religiosa, tre dimensioni che convivono nella filosofia ma generalmente sono separate. Per lo stesso motivo consiglierei le Enneadi di Plotino, che però sono molto più lontane nel tempo e dunque meno immediate. Poi Alla ricerca del tempo perduto, perché è uno dei più gran libri che siano stati scritti, e se non ora quando? Aggiungerei le Memorie intime di Simenon, per imparare che anche una vita piena di successi può essere l’angoscia pura. E la Storia della prima guerra mondiale di Basil Liddell Hart, tanto amato da Borges, che ci fa capire quanto sia più confortevole la guerra che stiamo combattendo in questi giorni rispetto a quella combattuta dai nostri nonni o bisnonni, una guerra in cui diecimila morti al giorno, e di ventenni, era un computo normale.
- Quali sono i suoi prossimi progetti?
Sto finendo un libro lunghissimo che in tempi normali non avrei mai finito, Documanità, una riflessione sulla condizione umana nell’età del Web.
Elena Casetta
- Tra le numerose ricette che vengono proposte per affrontare meglio questo periodo, come si può collocare la filosofia?
In situazioni complesse come quella che stiamo vivendo, i pensieri tendono ad affollarsi e a confondersi, talvolta sembrano sopraffarci. La filosofia offre degli strumenti per articolare il proprio pensiero, per mettere ordine in quella confusione. Questo vale sia in senso generale, sia in questa specifica circostanza, dove una macchinetta di RNA che si replica parassitando le nostre cellule ci pone al cospetto di una natura molto più grande di noi, ricordandoci la nostra debolezza costitutiva. Una debolezza alla quale solo con la cultura e la tecnica siamo riusciti, come specie, a far fronte. La filosofia, che nasce in occidente proprio come riflessione sulla natura (pensiamo ai pre-socratici), può aiutarci a comprendere il nostro posto nella natura e il ruolo che la cultura — e la tecnica, che ne è un aspetto — ricoprono nel disegnare quel posto.
- Quali filosofi in particolare?
Dipende da che cosa si sta cercando. Se vogliamo comprendere un po’ meglio il nostro posto nella natura, credo sia fondamentale capire il rapporto tra evoluzione “naturale” e evoluzione culturale. Per questo c’è un bellissimo libro di due biologhe (che non esiterei a definire anche filosofe), Eva Jablonka e Marion Lamb, che si intitola L’evoluzione in quattro dimensioni. Se ci interessa esplorare la nostra debolezza costitutiva e il ruolo della tecnica per farvi fronte, L’imbecillità è una cosa seria di Maurizio Ferraris è un ottimo punto di partenza. Se, invece, la situazione di eccezionalità ci ha portato a riflettere, per esempio, sul senso, le priorità, le modalità della nostra vita, insomma, sulla nostra felicità o infelicità, allora possiamo, insieme a Bertrand Russell, ragionare sulla Conquista della felicità.
- E tra i greci e latini?
In una sua lettera, Charles Darwin scrisse: “Linneo e Cuvier sono stati le mie divinità … ma erano degli scolaretti in confronto ad Aristotele”. Si potrebbe leggere proprio Aristotele, il quale — in particolare nella Fisica — ha fornito al pensiero occidentale la prima definizione di “natura”.
- Se possibile, [indichi] anche una citazione che ritiene particolarmente utile in questo periodo.
Ho sentito spesso in questi giorni parlare della natura che “si ribella” all’essere umano, o del virus come “nemico”. Penso sia importante, se vogliamo comprendere davvero come funziona la natura, non imporre ad essa categorie squisitamente umane. Come ha scritto Bertrand Russell nella Conoscenza del mondo esterno: “L’evoluzione che ha condotto dall’ameba all’uomo sembra essere evidentemente un progresso per i filosofi – ma se l’ameba sia d’accordo o meno con questa opinione non ci è dato saperlo”.